Questo articolo è dedicato a Vasquinho, l’indomito guerriero che se n’è andato a soli cinque mesi dopo sette interventi e indicibili sofferenze, lasciandoci con un vuoto incolmabile. Incolmabile perchè, nonostante la sua sia stata un’esistenza breve come una meteora, questo piccolo grande guerriero ha lasciato un segno profondo in tutti coloro che lo hanno conosciuto, con i suoi immensi sorrisi, con la sua infinita vitalità, con la sua prorompente voglia di vivere stroncata da una sorte infame. Un dolore profondo. Ai suoi meravigliosi e coraggiosissimi genitori va tutto il mio affetto e… non trovo le parole, solo Vasquinho, per sempre. Nel cuore.
Dopo ben trentotto anni, cioè dal momento in cui Maria do Rosario -portoghese di Lisbona- è diventata mia cognata, finalmente sono riuscito ad andare in Portogallo. Mio fratello mi raccontava di questo paese “un pò all’antica” ma non si riferiva ad aspetti tecnologici o di particolare arretratezza bensì alla vita che laggiù non era stata stravolta nei rapporti tra individui come, invece, era già accaduto da noi. Così per anni ho sognato e sperato di poter trovare il modo di andare a vedere ma poi, come spesso accade, la vita mi ha portato altrove e sono rimasto a lungo con una certa immagine del Portogallo, romantica, un poco malinconica, dolce nei suoi ritmi di un tempo andato. Ho immaginato una Lisbona un poco decadente ma ricca di umanità, intrisa di sapori e di atmosfere intime, senza eccessi, sospesa tra il suo essere antica capitale di un impero d’oltreoceano e un futuro che sarebbe prima o poi arrivato. Lisbona con il suono dei passi sul selciato, lo sferragliare dei vecchi tram, la sirena di qualche nave in lontananza; la Lisbona di Saramago, Lisbona latina, eppure lontana dall’Europa e dal Mediterraneo.
Ecco, tutto questo non c’è più, ho perso troppo tempo a cercare l’occasione giusta per andare e nel frattempo quel futuro è arrivato. Così scendi dall’aereo e ti ritrovi catapultato in auto in mezzo ad un traffico frenetico, su un’autostrada a sei corsie e a fare le montagne russe sul fantascientifico ponte Vasco da Gama. Che però in pochi minuti ti fionda lontano dal caos e d’incanto la Lisbona moderna non c’è più: il suo posto è preso da una campagna morbida, da un’atmosfera serena che veloce sfreccia oltre i finestrini dell’auto per immergerti in un paesaggio quasi familiare, ricoperto di pini sparsi su un terreno ondulato di sabbia chiara, di grandi distese d’acqua. Sembra di essere in Maremma ma forse più bella. Il Portogallo che non mi aspettavo o che forse non ero riuscito ad immaginare così sereno, luminoso, che ti porta lontano, in una realtà che già non è più Europa. Ecco, il Portogallo scopre le sue carte e capisci che sì, geograficamente sei ancora nel Vecchio Continente ma là, davanti a te, c’è l’immensità di quel Mare Oceano dove gli antichi avevano collocato la misteriosa Atlantide. Qui, se non è chiaro, siamo oltre le Colonne d’Ercol! Non so se mi spiego. Sei lontano, fuori dall’Europa! Qui si ha la precisa percezione di essere in un Paese che per lungo tempo è rimasto estraneo alle vicende del resto d’Europa, perché affacciato sul Mare Oceano dove ha costruito la sua identità. Volete sapere perchè il Portogallo ha risolto la sua crisi economica? Perchè ha sempre saputo fare a meno dell’Europa! Ne faceva e ne fa parte tuttora ma forse non è un paese europeo.
E quando arrivi a Cabo Sao Vicente tutto questo ti diventa all’improvviso lampante: qui ti rendi conto di essere al finis terrae oltre il quale c’è l’ignoto, l’inconoscibile vastità che terrorizzava il mondo antico. Non a caso è qui che fino al XIV secolo era collocata la fine del mondo. Quando ti affacci sulla costa a strapiombo e sai che oltre l’orizzonte non c’è nulla, allora può capitare che la tua immaginazione veda sfilare al largo le caravelle di quel pazzo di Colombo. E di fronte a quelle onde gigantesche e a quell’orizzonte infinito, comprendi cosa debba aver rappresentato un simile viaggio per la fantasia degli uomini della sua epoca. Un’immagine da brividi, emozioni forti. Lasciato l’Algarve si risale verso nord con i grandiosi paesaggi della costa protagonisti assoluti. Spiagge immense, a perdita d’occhio, mentre scogliere imponenti e ondate alte come palazzi si affrontano in un titanico, perpetuo scontro. Di fronte a questo spettacolo, nonostante la sicumera per i traguardi raggiunti dall’umanità, ti assale una sensazione d’inferiorità, una sottile inquietudine perché, in quel contesto, si ricrea il giusto rapporto tra l’essere umano e le immani forze della Natura. All’interno, invece, c’è un paesaggio tranquillo e rassicurante con le sue meravigliose pinete solcate per chilometri da sottili e solitarie strisce d’asfalto, i colorati paesi placidamente adagiati lungo il corso di un fiume e le cegonhas con i loro nidi mirabilmente costruiti su qualunque cosa abbia un aspetto verticale: pali della luce, ciminiere dismesse, tralicci dell’alta tensione, campanili. Torneremo sicuramente a scoprire ancora questo paese così singolare, avanguardia delle Americhe in Europa, con il suo fascino discreto e pulito.
P.S. un viaggio di una settimana e la quantità di immagini che oggi si riescono a scattare con una macchina digitale mi costringono a ripartire su due articoli questa sorta di piccolo reportage su parte del Portogallo. A breve seguirà la parte dedicata a Lisbona.